Recensione al film "Il Colibrì" di Francesca Archibugi. Un film sul senso della vita

 


Che dire del film  "Il Colibrì" di Francesca Archibugi? Un cast eccezionale con l'intensa performance di Pierfrancesco Favino che non delude mai il suo pubblico. 

Film commuovente non solo perché la vita del protagonista sia costellata da tragedie ma soprattutto per il senso che per lui, il colibrì, ha la vita. Il colibrì ama la vita profondamente poiché gli appartiene, egli ha rispetto di sé e della sua storia e accetta la vita in toto, nella felicità e nella disperazione, perché è frutto delle sue scelte, del suo e altrui determinismo e della sua stella. Egli non può e non vuole rinnegare il fatto di esistere, i suoi affetti, le gioie fugaci e la consapevolezza che ne deriva. Il colibrì finisce per innamorarsi della malinconia che lo accompagna e non desidera stravolgere il suo destino ma restare a galla, continuare a vivere, con coraggio. Egli non osa troppo neanche quando sogna, non vuole disprezzare quello che il fato gli ha dato perché la sua vita perderebbe di significato. Il colibrì vive con estrema dignità, prova ad essere felice sempre e questo in fondo è vivere, provare ad essere felici, lottare per sé stessi e per le persone care; i tentativi falliti sono vita, così teorizza nel film Nanni Moretti che è come un alter ego di Favino.

Lo spessore  della tematica che tratta il film dell'Archibugi e l'intensità della recitazione dei protagonisti che ruotano intorno a Favino, ci invitano a leggere il romanzo di Sandro Veronesi, vincitore premio Strega 2020, dal quale il film è tratto.






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