Le parole di Giovanni Verga a sintesi della rivoluzione culturale attuata dallo scrittore nella narrativa e nella letteratura

 




Introduzione dell'Autore ai Malavoglia, prima opera del "Ciclo dei Vinti"  (1881).



Questo racconto è lo studio sincero e spassionato del come probabilmente devono nascere e

svilupparsi nelle più umili condizioni, le prime irrequietudini pel benessere; e quale perturbazione

debba arrecare in una famigliola vissuta fino allora relativamente felice, la vaga bramosia

dell’ignoto, l’accorgersi che non si sta bene, o che si potrebbe star meglio.

Il movente dell’attività umana che produce la fiumana del progresso è preso qui alle sue

sorgenti, nelle proporzioni più modeste e materiali. Il meccanismo delle passioni che la

determinano in quelle basse sfere è meno complicato, e potrà quindi osservarsi con maggior

precisione. Basta lasciare al quadro le sue tinte schiette e tranquille, e il suo disegno semplice. Man

mano che cotesta ricerca del meglio di cui l’uomo è travagliato cresce e si dilata, tende anche ad

elevarsi, e segue il suo moto ascendente nelle classi sociali. Nei Malavoglia non è ancora che la

lotta pei bisogni materiali. Soddisfatti questi, la ricerca diviene avidità di ricchezze, e si incarnerà in

un tipo borghese, Mastro-don Gesualdo, incorniciato nel quadro ancora ristretto di una piccola città

di provincia, ma del quale i colori cominceranno ad essere più vivaci, e il disegno a farsi più ampio

e variato. Poi diventerà vanità aristocratica nella Duchessa di Leyra; e ambizione nell’Onorevole

Scipioni, per arrivare all’Uomo di lusso, il quale riunisce tutte coteste bramosie, tutte coteste vanità,

tutte coteste ambizioni, per comprenderle e soffrirne, se le sente nel sangue, e ne è consunto. A

misura che la sfera dell’azione umana si allarga, il congegno delle passioni va complicandosi; i

tipi si disegnano certamente meno originali, ma più curiosi, per la sottile influenza che esercita sui

caratteri l’educazione, ed anche tutto quello che ci può essere di artificiale nella civiltà. Persino il

linguaggio tende ad individualizzarsi, ad arricchirsi di tutte le mezze tinte dei mezzi sentimenti, di

tutti gli artifici della parola onde dar rilievo all’idea, in un’epoca che impone come regola di buon

gusto un eguale formalismo per mascherare un’uniformità di sentimenti e d’idee. Perché la

riproduzione artistica di cotesti quadri sia esatta, bisogna seguire scrupolosamente le norme di

questa analisi; esser sinceri per dimostrare la verità, giacché la forma è così inerente al soggetto,

quanto ogni parte del soggetto stesso è necessaria alla spiegazione dell’argomento generale.

Il cammino fatale, incessante, spesso faticoso e febbrile che segue l’umanità per raggiungere

la conquista del progresso, è grandioso nel suo risultato, visto nell’insieme, da lontano. Nella luce

gloriosa che l’accompagna dileguansi le irrequietudini, le avidità, l’egoismo, tutte le passioni, tutti i

vizi che si trasformano in virtù, tutte le debolezze che aiutano l’immane lavoro, tutte le

contraddizioni, dal cui attrito sviluppasi la luce della verità. Il risultato umanitario copre quanto c’è

di meschino negli interessi particolari che lo producono; li giustifica quasi come mezzi necessari a

stimolare l’attività dell’individuo cooperante inconscio a beneficio di tutti. Ogni movente di cotesto

lavorio universale, dalla ricerca del benessere materiale, alle più elevate ambizioni, è legittimato

dal solo fatto della sua opportunità a raggiungere lo scopo del movimento incessante; e quando si

conosce dove vada questa immensa corrente dell’attività umana, non si domanda al certo come ci

va. Solo l’osservatore, travolto anch’esso dalla fiumana, guardandosi attorno, ha il diritto di

interessarsi ai deboli che restano per via, ai fiacchi che si lasciano sorpassare dall’onda per finire

più presto, ai vinti che levano le braccia disperate, e piegano il capo sotto il piede brutale dei

sopravvegnenti, i vincitori d’oggi, affrettati anch’essi, avidi anch’essi d’arrivare, e che saranno

sorpassati domani.

I Malavoglia, Mastro-don Gesualdo, la Duchessa de Leyra, l’Onorevole Scipioni, l’Uomo di

lusso sono altrettanti vinti che la corrente ha deposti sulla riva, dopo averli travolti e annegati,

ciascuno colle stimate del suo peccato, che avrebbero dovuto essere lo sfolgorare della sua virtù.

Ciascuno, dal più umile al più elevato, ha avuta la sua parte nella lotta per l’esistenza, pel benessere,

per l’ambizione — dall’umile pescatore al nuovo arricchito — alla intrusa nelle alte classi —

all’uomo dall’ingegno e dalle volontà robuste, il quale si sente la forza di dominare gli altri uomini;

di prendersi da sé quella parte di considerazione pubblica che il pregiudizio sociale gli nega per la

sua nascita illegale; di fare la legge, lui nato fuori della legge — all’artista che crede di seguire il

suo ideale seguendo un’altra forma dell’ambizione. Chi osserva questo spettacolo non ha il

diritto di giudicarlo; è già molto se riesce a trarsi un istante fuori del campo della lotta per

studiarla senza passione, e rendere la scena nettamente, coi colori adatti, tale da dare la

rappresentazione della realtà com’è stata, o come avrebbe dovuto essere.

Milano, 19 gennaio 1881.


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